IllungoQuarantotto
IllungoQuarantotto

Fai scroll per iniziare il percorso

Hand pointing down

La fine dell’età napoleonica apre in Europa e nella penisola italiana una lunga fase di instabilità e di rivolgimenti politici che culminano con una rivoluzione su scala europea nel 1848. È un momento importante anche per Mantova, per il suo territorio e per la sua popolazione, che vive nuovi fermenti politici ma anche un duro stato d’assedio. Le cospirazioni che attraversano città e campagne porteranno con sé molti arresti, condanne e fucilazioni e con esse anche un vero culto per la memoria dei caduti.

Cannone
cannonball moving left to rightcannonball moving right to left
Capitolo I

L’Europa in fiamme

Il ritorno della rivoluzione

Vienna, 1 novembre 1814. Battute le armate napoleoniche le maggiori potenze europee si riuniscono in congresso per restaurare la legittimità della monarchia, riportare sul trono i sovrani che ne erano stati scalzati e disegnare la carta geopolitica di una nuova Europa. Serviranno più di sette mesi, durante i quali è represso anche l’ultimo tentativo di rivalsa di Napoleone. Austria, Russia e Prussia – unite nel trattato detto Santa Alleanza – si impegnano a soffocare ogni nuovo focolaio di rivoluzione.

Josef Zutz. Der grosse Wiener Friedens Congres zur Wiederherstellung von Freiheit und Recht in Europa

Il Congresso di Vienna e la definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo nel giugno 1815 non cancellano la memoria delle conquiste rivoluzionarie e napoleoniche. Le ambiguità e le fragilità dei nuovi assetti lasciano spazio a fermenti che sfidano l’ordine territoriale, politico e sociale della Restaurazione e gli eserciti della Santa Alleanza. Parole come libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale guidano nuove ondate rivoluzionarie che collegano Europa, Mediterraneo e America Latina.

libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale
libertà, rappresentanza politica, costituzione e indipendenza nazionale

L’esperienza rivoluzionaria più consistente, estesa e intensa è quella del 1848. Come un domino la rivoluzione attraversa quell’anno con impressionante simultaneità gran parte d’Europa: costruisce barricate, inaugura nuovi linguaggi e pratiche politiche ed estende i suoi effetti su altri continenti. A guidarla è un arcipelago vario e fluido di rivendicazioni politiche, sociali e nazionali, capaci di animare le coscienze e le emozioni di un’opinione pubblica sempre più ampia.

Horace Vernet. Barricade dans la rue de Soufflot, à Paris, le 25 juin 1848

«Siamo pazzi, siamo ubriachi, siamo felici di esserci addormentati nel pantano e risvegliati nel cielo. [...] La Repubblica è stata conquistata, è sicura, periremo tutti piuttosto che lasciarla andare»

George Sand, 9 marzo 1848

Una storia originale: il 1848 in Italia

Ben inquadrato nelle vicende europee, il Quarantotto italiano ha anche forti peculiarità: una durata più estesa, tra 1846 e 1849; una sequenza di fasi politicamente diverse; numerosi centri rivoluzionari: Palermo, Venezia, Milano, Napoli, Roma, Livorno. E scoppia dopo almeno due decenni di intensa costruzione di un discorso nazional-patriottico capace di raggiungere e appassionare in tutta la penisola una parte molto ampia della popolazione.

Nel 1846 l’evento che galvanizza l’opinione pubblica liberale e patriottica è l’elezione di papa Pio IX. Il nuovo pontefice adotta una serie di misure, tra cui l’amnistia ai detenuti politici, che rendono la sua figura molto popolare. In molti sperano di vederlo a capo del movimento nazionale e ovunque si organizzano manifestazioni in suo nome. Il mito liberal-patriottico di Pio IX nutre la propaganda, la simbologia, l’oggettistica del Quarantotto italiano, anche se il papa prenderà presto le distanze da quell’immagine.

Fazzoletto risalente al 1847-48

La prima scintilla di rivoluzione scoppia a Palermo. Aspirazioni politiche, sociali e patriottiche si intrecciano nell’insurrezione del 12 gennaio 1848. Il re Ferdinando II di Borbone cerca di arginare la rivolta concedendo una costituzione. Gli altri sovrani italiani devono imitarlo. La costituzione ottenuta allora nel Regno di Sardegna – detta Statuto Albertino dal nome del re Carlo Alberto di Savoia – con l’Unità nel 1861 diventerà la carta costituzionale del Regno d’Italia e lo resterà fino al 1946. In molte piazze si festeggiano queste conquiste in un crescendo di entusiasmo, di allegria, di bandiere.

Tra i sudditi dell’Impero

Alla metà di marzo la rivoluzione dilaga nelle principali città dell’Impero austriaco, da Vienna a Budapest. Anche per il Lombardo-Veneto è il momento di insorgere. A Venezia un moto che incontra una debole opposizione porta a proclamare una Repubblica guidata da Daniele Manin. A Milano dopo le cosiddette Cinque giornate, giorni di combattimenti durissimi che si concentrano intorno alle numerose barricate sorte in tutta la città, le truppe austriache sono cacciate. Al potere si insedia un governo provvisorio.

E. De Filippi. Ritratto equestre di Carlo Alberto di Savoia

Nel frattempo dal Regno di Sardegna Carlo Alberto muove l’esercito oltre il Ticino. L’entrata in guerra contro l’Austria è annunciata con toni esplicitamente patriottici. A lui si uniranno alcuni corpi misti di militari e volontari provenienti dal Granducato di Toscana, dallo Stato Pontificio e dal Regno delle Due Sicilie. Inizia quella che viene ricordata come la Prima guerra di indipendenza

Melchior Fontana. Feldmarschall Josef Wenzel Radetzky von Radetz

Quando gli austriaci abbandonano Milano, l’insurrezione si è ormai estesa alle province del Lombardo-Veneto. In pochi giorni, sotto il loro controllo restano solo le fortezze di Mantova, Verona, Legnago e Peschiera – il cosiddetto Quadrilatero – ed è lì che convergono le colonne dell’esercito in fuga da Milano e altre città. Tenere il Quadrilatero diventa una priorità nella strategia di difesa e contrattacco del feldmaresciallo austriaco Josef Radetzky.

Capitolo II

Scene dal Quarantotto locale

Nella città-fortezza

La notizia della rivoluzione di Vienna giunge a Mantova il 18 marzo. È la festa del patrono, la città è affollata dalle popolazioni venute dal contado. La benedizione del vescovo alla piazza e il canto del Te Deum alimentano le fibrillazioni politiche. Mentre Milano insorge, in città si forma un Comitato provvisorio e si organizza una guardia civica. Intanto però gli austriaci stanno ripiegando sulla fortezza.

image-0
image-1
image-2

Il Comitato mantovano è diviso e a prevalere è la linea di chi teme sbocchi violenti e incontrollati della piazza. Da parte austriaca, invece, il governatore della fortezza Gorzkovski ha una tattica prudente: in attesa che le truppe siano concentrate in città, non soffoca brutalmente i fermenti politici. Alimenta così l’attendismo e le indecisioni del Comitato. I giorni passano senza che a Mantova scoppi l’attesa insurrezione, neppure quando le strade si riempiono di barricate. L’occasione è persa: il 2 aprile le autorità austriache proclamano lo stato d’assedio.

I patrioti più esposti a favore della rivoluzione hanno già lasciato la città, ma gli arresti proseguono per settimane, come le perquisizioni in abitazioni private, caffè, chiese e teatri. Le autorità militari impongono ai cittadini di sottoscrivere debiti di Stato e pagare tasse straordinarie. Cibo, bestiame e ogni altro bene utile allo sforzo bellico viene requisito. In una città colma di soldati, le autorità militari abbassano i prezzi del vino e dell’acquavite.

Franz Gerasch. Die Kaiserl. Koenigl Oesterreichische Armee im Jahre 1849

La città è uno spazio sigillato. Entrare e uscire è severamente regolamentato e spesso proibito. Capita di non poter uscire neppure per seppellire i morti nel cimitero fuori città. L’ingresso di giornali e gazzette è controllato, la posta è intercettata. Anche torri e campanili sono chiusi, per impedire ai civili di osservare e comunicare segretamente con l’esterno. Ogni presa di parola è sorvegliata: ora è l’inno austriaco all’imperatore Ferdinando l’unico che si sente intonare per le strade.

/images/scrolly02/16B_lettera_tazzoli.avif
Lettera di don Enrico Tazzoli a Ippolito Cavriani

Sui campi di battaglia

Tra la primavera e l’estate 1848, le campagne mantovane conoscono forme di comunicazione e partecipazione politica più libere rispetto alla città. La presenza dell’esercito sabaudo e dei volontari sostiene l’autorità del Governo provvisorio della Lombardia e favorisce la diffusione di sentimenti filoitaliani. Anche «L’Eco del Po», testata ufficiale della Provincia di Mantova uscita tra maggio e luglio 1848, circola più facilmente fuori che dentro la città.

Ciò non significa che gli austriaci perdano il pieno controllo su quei territori. A fine maggio controllano soprattutto le campagne intorno alla città, ma in seguito si estendono verso il Po. Tornano a concentrarsi attorno alla fortezza prima della battaglia di Custoza, a fine luglio. Inoltre l’esercito imperiale compie spesso ispezioni, occupazioni temporanee di paesi, requisizioni. Più o meno vicine alla città, le aree rurali sono uno spazio conteso tra i due eserciti nemici e anche questo ne accelera la politicizzazione.

Franz Werner. Carl Albert wird am 19ten April dem Namensfest S. M. d. Kaisers Ferdinand, von seinem / Angriff auf Mantua glänzend abgeschlagen 1848

Per i mantovani, un tramite con il mondo esterno sono i prigionieri e i feriti di guerra, soprattutto i toscani catturati dopo la battaglia di Curtatone e Montanara e portati in città. Il più noto fra loro è il professore pisano Giuseppe Montanelli. Si accorre al loro passaggio. Ogni aneddoto che li riguardi è argomento di conversazione. Chi ha titolo li visita e li assiste in carcere o in ospedale. Le donne cuciono e donano camicie. Sostenerli materialmente è l’occasione per esprimere sentimenti patriottici altrimenti negati.

Epigrafe dei Toscani prigionieri nel lasciare Mantova
Capitolo III

Indomani di rivoluzione

Campagne sospette

Alla fine di luglio 1848, l’esercito sabaudo si ritira e ad agosto cade anche Venezia. La guerra si allontana da Mantova e dal suo territorio, ma la città resta un baluardo della repressione austriaca. La fortezza continua a essere un perno del sistema militare del Lombardo-Veneto e le prigioni cittadine, tra le più importanti dell’intero Stato, si riempiono di detenuti politici. Per questo fino all’aprile 1854 lo stato d’assedio è esercitato con estremo rigore. Sono anni di perquisizioni, arresti, fucilazioni, processi, condanne.

Mantoue. Vue prise au dessus de la Citadelle

Il sospetto non risparmia le campagne. Già nel 1848 a favore della rivoluzione sono scesi molti esponenti della borghesia rurale. Si tratta di un ceto che ha fatto fortuna fra l’età napoleonica e la Restaurazione: commercianti, proprietari, affittuari di terreni agricoli animati da spirito imprenditoriale, che in pochi decenni si sono arricchiti, sono entrati nelle amministrazioni comunali, hanno aperto casa e relazioni in città, hanno fatto studiare i figli. Nel 1848 i loro discendenti – ormai studenti, ingegneri, avvocati, medici – hanno organizzato molte azioni antiaustriache, anche coinvolgendo i propri contadini.

Gli scontri tra gli austriaci e gli abitanti dei paesi della provincia vanno avanti per anni. Le perquisizioni scovano spesso depositi di armi e munizioni o materiale di propaganda nelle case di affittuari e lavoranti agricoli. Anche nelle chiese: il clero non è estraneo alla resistenza e alla cospirazione. Ad agitare le campagne mantovane non sono solo la crisi economica, il disagio sociale e il banditismo, favoriti da tasse straordinarie e misure finanziarie punitive: in clandestinità cova un nuovo, diffuso fermento politico.

Congiura e martirio

Nel 1850 Giuseppe Mazzini, esule a Londra dopo il fallimento del 1848-49, progetta di rilanciare l’azione contro l’Austria. Nel Lombardo-Veneto si organizza una fitta rete di società segrete. Il Comitato insurrezionale di Mantova, uno dei più importanti, con solide ramificazioni anche nelle campagne della provincia, si costituisce nel novembre 1850 nell’abitazione di un nobile emigrato. Riunisce inizialmente una ventina di patrioti attorno a un sacerdote già noto alle autorità austriache, Enrico Tazzoli.

Un altro sacerdote, Giovanni Grioli, è il primo membro del gruppo a cadere fucilato, nell’autunno 1851. Poco dopo viene scoperto uno smercio di cartelle del prestito di autofinanziamento promosso da Mazzini, che porta a una vasta ondata di arresti e carcerazioni. Molti riescono a fuggire ma gli implicati nel processo per Alto tradimento saranno circa duecento. In un interrogatorio il trentenne medico repubblicano Carlo Poma rivendica così lo scopo dei congiurati: «renderci noi italiani indipendenti dall’Austria e governati da noi stessi».

«Renderci noi italiani indipendenti dall’Austria e governati da noi stessi»

Carlo Poma

Poma, con Tazzoli, fa parte del gruppo dei primi cinque condannati al processo di Mantova impiccati nella valletta di Belfiore, fuori città, nel dicembre 1852. Due mesi dopo falliscono un tentativo d’insurrezione mazziniano a Milano e l’attentato di un giovane ungherese alla vita dell’imperatore Francesco Giuseppe a Vienna. Il clima rende più esemplari le sentenze ancora pendenti a Mantova – tra cui quella del patriota bresciano Tito Speri – eseguite nonostante l’imperatore stesse per emanare un’amnistia.

I giustiziati sono noti ancora oggi come “martiri di Belfiore”. L’espressione arriva direttamente dall’Ottocento. Per gli uomini e le donne del tempo, definire martiri degli attivisti politici significava inserirli nel sistema di valori più alto e legittimante, quello religioso. Riferimenti espliciti alla religione cattolica e al sacrificio, modellati sulle figure di Cristo e dei santi, caratterizzano perciò l’iconografia e il culto delle “reliquie” di questi caduti.

Dopo il 1848 la società e la politica in Europa non saranno più le stesse. La sconfitta della rivoluzione lascerà spazio a politiche repressive e a percorsi di esilio, ma anche allo sviluppo di nuove ipotesi e nuove traiettorie politiche. Se nel resto d'Europa le nuove forme di comunicazione e partecipazione politica poterono essere ampiamente sperimentate da un pubblico variegato di uomini e donne, nel Mantovano questa libertà durò pochi giorni. La sua memoria però non andò persa e, coltivata per anni da una rete clandestina di patrioti e patriote, contribuì a porre le basi di una sfera pubblica modernamente intesa.

MantovaRisorgimento