Traduzione

Situato al civico 10 di via Chiassi, Palazzo Benintendi, oggi Palazzo Scalori, è legato alle vicende della cosiddetta congiura di Belfiore, ricordata da una lapide posta sulla facciata, sopra il portone d’ingresso. Fu proprio qui che nel 1850 alcuni patrioti mantovani si riunirono in segreto per la prima volta per discutere di come liberare l’Italia dal dominio straniero. L’incontro si tenne nello studio dell’ingegnere Attilio Mori, all’interno della casa di Livio Benintendi, e vi parteciparono circa venti persone: tra loro erano presenti don Enrico Tazzoli, Achille Sacchi e Giovanni Chiassi. Tazzoli fu uno dei principali organizzatori del comitato insurrezionale; Chiassi, allora venticinquenne, morì, 16 anni più tardi, combattendo nella battaglia di Bezzecca; Sacchi, garibaldino e democratico, abitava poco distante, nella vicina via che oggi porta il suo nome. I congiurati decisero di mettersi in contatto con Giuseppe Mazzini, che viveva in esilio a Londra. L’incarico fu affidato a Giuseppe Finzi e il comitato mantovano fu invitato a diffondere e vendere i titoli di prestito lanciati da Mazzini per raccogliere soldi a sostegno della rivoluzione, e a diffondere opuscoli e manifesti di propaganda. Don Tazzoli teneva un registro segreto di tutte le attività contabili, scritto in un codice che aveva una chiave basata sul Pater Noster. Quel documento conteneva l’elenco dei comitati che facevano capo alla cassa di Mantova per i versamenti, i nomi dei sottoscrittori e dei soci a cui il comitato aveva assegnato speciali incarichi. Durante un’ispezione nella sua abitazione, le autorità trovarono una delle cartelle di prestito e arrestarono Tazzoli. Le confessioni e le denunce che seguirono e la decodifica del registro di contabilità, da parte di esperti viennesi, portarono alla cattura di molti altri patrioti. La congiura si poteva definire ormai fallita.