Il castello di San Giorgio fu costruito tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento come baluardo difensivo su progetto dell’ingegnere Bartolino Da Novara. In seguito divenne residenza dei Gonzaga e, quasi subito, fu usato anche come carcere. Nell’Ottocento, durante il periodo austriaco, il piano superiore ospitava le carceri politiche. Le celle, con spesse porte e inferriate alle finestre, erano divise in due sezioni: una femminile, con due stanze, e una maschile, più ampia. C’erano anche l’appartamento dell’ispettore, l’infermeria e il «camerino delle bastonature». I carcerati accusati di crimini gravi erano spesso incatenati, con un capo della catena fissato a un anello di ferro nel muro, ancora visibile oggi. Tra i prigionieri ci furono alcuni protagonisti del Risorgimento più volte citati in questa guida: don Enrico Tazzoli, Carlo Poma, Pietro Fortunato Calvi e Felice Orsini. Sulle pareti delle celle, insieme agli affreschi del Quattrocento, si trovano scritte e disegni lasciati dai detenuti, tra cui la celebre frase «W l’Italia» incisa su un davanzale. Dopo l’Unità d’Italia, Antonino Bertolotti, direttore dell’Archivio di Stato che aveva sede nel castello, trasformò due celle, quelle di Tazzoli e Orsini, in sacrari patriottici. Felice Orsini, mazziniano e attivo in vari progetti insurrezionali, fu arrestato in Ungheria nel 1854 e poi imprigionato a Mantova nelle carceri del Castello. Riuscì a fuggire segando le sbarre e calandosi dalla finestra con una corda di lenzuola. La sua fuga fece il giro d’Europa. Rifugiatosi a Londra, progettò con altri un attentato a Napoleone III, che però fallì; Orsini fu arrestato e giustiziato a Parigi pochi giorni dopo. Le celle trasformate in sacrari esponevano documenti e ricordi dei patrioti e divennero meta di pellegrinaggi. In quella di Tazzoli fu appeso il suo ritratto e collocata una copia del Confortatorio di monsignor Luigi Martini.